giovedì 24 marzo 2011

Studiare la storia

Studiare la storia è una di quelle cose da vecchi barbosi quale io sto diventando.
Cose inutili, in questa gnù economy, dove basta cercare su wikipedia per sapere tutto.

Eppure la storia è fondamentale.
Perché la storia si ripete, perché, mentre l'esperienza è quella che ci dovrebbe aiutare a decidere, come falene impazzite siamo destinati a ripetere gli errori dei padri, nonni, bisnonni ecc.

Ho detto varie volte che la guerra moderna si gioca in campo economico.
Oggi, purtroppo, la guerra vera l'abbiamo anche a due passi da casa.
Tralascio la mia impressione sulla cosa, sarebbe molto impopolare.

Ma ripensando alla storia del nostro paese di fronte al discorso allargato, già fatto da Andrea Panato, della guerra (che va a colpire il nostro vero Ministero degli Esteri, l'Eni) con la parte finanziaria su Generali, Parmalat e altre operazioni sparse piccole o grandi.
Molti paesi avevano puntato tutto sui servizi; ma come la Gran Bretagna, improvvisamente si accorgono che senza industria, senza produzione, è difficile mantenere l'occupazione, creare lavoro, dare un mercato al settore servizi.
Noi imprenditori di campagna l'abbiamo sempre pensato, ma noi siamo "storia", vecchi, fuori mercato, incapaci di adeguarci ai tempi moderni.

Allora, se il mandato è "impadroniamoci della energia" (Guerra BP-Total contro Eni) e della produzione (Parmalat) ecco che i mai sopiti istinti imperialistici degli umilissimi francesi rinascono.

E cosa ci insegna la storia?
Che l'Italia è da sempre terra di conquista, che il nostro odio e disincanto nei confronti dell'autorità costituita, il nostro arrangiarsi, nasce proprio dalla abitudine ad essere invasi.

E perché è sempre stato facile invaderci?
Perché siamo il paese dei comuni, un paese dove ancora oggi si tifa per lo straniero se conquista il comune vicino, nemico da sempre.
Perché per noi la parola alleanza è il preludio alla parola tradimento, o quantomeno approfittarsene e cercare di fregare il socio.

Trasportiamo questi nostri vizi nell'industria ed eccoci ad avere una industria frammentata, dove si preferisce fallire che allearsi o perdere il proprio moderno titolo nobiliare di Amministratore Delegato.
Dove con un certo godimento vediamo sparire il concorrente italiano favorendo un tedesco, un francese, un americano.

Eccoci qui a ripetere la storia, a ripetere vizi ed errori dei nostri avi, che ci hanno lasciato la grande tradizione dell'artigianato, dell'arte della creatività.
E questa maledetta abitudine a far da soli.

giovedì 10 marzo 2011

Responsabilità sociale (ma dove conviene)

Nelle grandi corporation negli ultimi anni ci si dà molta aria alla bocca parlando di Responsabilità Sociale con bilanci, documenti pubblicità ecc.
Al di là del fatto che quando lo vedo fatto dai petrolieri e dalle banche mi viene personalmente da sorridere (ma sono un dissacratore) nei fatti poi ci si riempie la bocca quando conviene.
Faccio un esempio concreto: HP.

E' sicuramente uno dei market leader nelle periferiche, e se andate sul loro sito trovate pagine e pagine sulla responsabilità sociale.

Però poi se avete una stampante, che magari usate saltuariamente e quindi ancora perfettamente funzionante, che ha qualche anno (mica tanti, bastano 3 o 4) e avete la pretesa di trovare i driver per un sistema operativo aggiornato tipo Win7 (non parliamo poi della 64-bit), beh i driver non ci sono.
Se li chiedete Vi dicono che è una vecchia stampante non più supportata e vi fanno cortesemente capire che è ora di cambiarla. Anche se va.
Ma questo, naturalmente, non fa parte della responsabilità ambientale di HP, la colpa è vostra che la usate poco e quindi è vecchia e nuova.

Io sono ormai un vecchio trombone romantico e mi piacerebbero, invece di tante parole su responsabilità sociale e riciclabilità,  più fatti, non solo da HP ma da tutte le grandi corporation, come durata adeguata dei prodotti, supporto a lungo termine, disponibilità ricambi.


Costruire un prodotto nuovo ha sempre costi ambientali enormemente più elevati di ripararne uno vecchio.
E anche se magari quello vecchio è meno efficiente dal punto di vista energetico, ci vogliono anni per ammortizzarne l'impatto.

Invece, naturalmente, si punta a vendere il più spesso possibile un nuovo prodotto, alla faccia della CSR.