Chi opera sui mercati internazionali sa bene quanto contino le differenze culturali.
Sarebbe velleitario voler condurre una trattativa con un tedesco e nello stesso modo con un arabo o un sudamericano o un cinese.
Le differenze culturali contano ed influenzano moltissimo anche l'economia.
Ecco che allora la crisi in atto si ripercuoterà in modo ben diverso sulle diverse aree.
Prendendo le due più grandi macro aree di consumo Stati Uniti ed Europa, vedremo secondo me una grande differenza nei tempi e nei modi di uscita.
Gli Stati Uniti vivono sul debito e di debiti, con fortissima mobilità sociale e territoriale. Perdere un lavoro significa ripartire, cercare nuove opportunità, magari trasferirsi. Il futuro è un'opportunità e il segnale di un nero alla Presidenza, come dicono tutti i commentatori, è forte:
tutti ce la possono fare (anche
scherzandoci sopra).
In Europa viviamo in una società ingessata, poco flessibile.
Alle prime avvisaglie economiche, non essendo tradizionalmente abituati al debito ma al risparmio, sapendo che perdere il lavoro è un dramma, tiriamo i remi in barca e riduciamo i consumi.
La flessibilità del lavoro per le aziende è bassa.
Tutte cose positive e grandi conquiste, ma in un momento come queste economicamente pericolose.
Se tutti riduciamo le spese, la contrazione economica innesca una spirale che ci porta a ridurre ulteriormente. Non sono per lo "spendete" Berlusconiano, ma occorre trovare un giusto equilibrio.
Allo stesso modo la rigidità nel mondo del lavoro rende meno flessibili e adattabili alla situazione le aziende che rischiano di non riuscire a reagire nel modo giusto.
Noi poi viviamo in un paese dove, per quanto possa sembrare assurdo, è più facile chiudere completamente uno stabilimento che licenziare due o tre persone.
Insomma la mia grande paura è che gli USA passeranno brutti momenti ma ripartiranno pieni di entusiasmo, noi staremo qui a menarcela sul cosa fare e sul di chi è la colpa mentre gli altri ci passano davanti.