Ormai, piaccia o no, la cultura è un business, sia pure con regole leggermente diverse.
Personalmente sono un buon consumatore di musica e libri.
Buona capacità di spesa (per fortuna) e disponibilità a farlo.
Mi chiedevo oggi perchè ormai spesso compero nei centri commerciali, e mi è nata la riflessione sul valore aggiunto.
Una volta comperavo i dischi dal piccolo negoziante. Ambiente amichevole, ritrovo di appassionati, ampia disponibilità delle novità, gestore che conosceva le nuove uscite (anche grazia alle recensioni dei frequenatatori) e i gusti del cliente.
Il negozio non è più così, gestore annoiato, "se lo vuoi te lo ordino" e in casa assortimento tipo centro commerciale, nessuna indicazione su come sono i CD, a volte vaga idea anche del genere, appolaiato alla cassa che quando entri si aspetta che comperi qualcosa, prezzi in alcuni casi del 30% superiori alla GD.
Vado in una catena famosa, trovo buon assortimento (non tutto quello che cerco io, ma abbastanza) posso curiosare, girare, uscire senza prendere nulla, le cose più commerciali le posso ascoltare negli appositi totem, prezzo buono e spesso offerte speciali.
Ecco perchè ho cambiato, il piccolo negozio non mi dà più il "valore aggiunto" e compero lì solo quando me lo crea: con l'assortimento nelle cose particolari.
La stessa cosa vale per le librerie.
Si salvano i librai appassionati, che diventano centro di aggregazione, altrimenti ci sono ormai catene e supermercati che fanno la parte del leone sulle vendite.
Oppure quelli che si creano la nicchia (libri usati, libri antichi ecc) e il loro valore aggiunto.
Per chi è appassionato e dei dintorni di Milano avete mai visto il mercatino di Piazza Diaz? Libidine!
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