giovedì 31 maggio 2007

Conflitti di interessi/3

Mi sono letto l'articoletto segnalato sopra che mi era sfuggito.

Italians Grumble That Goldman Sachs Is, in Effect, Running Their Country - May 30, 2007 - The New York Sun: "A Rome prosecutor, Giuseppa Geremia, concluded in November 1996 that there was enough evidence to press charges against Mr. Prodi for conflict of interest, but by then he was prime minister. She set off a firestorm.

Ms. Geremia later told the Telegraph that intruders broke into her offices. The case was shut down within weeks by superiors. She was exiled to Sardinia."

Per intenderci, per chi non sa l'inglese, l'articolo parla di vendita di cirio-bertolli-de rica venduta a 100 quando era valutata tra 220 e 340 (mi fa venire in mente qualcosa, SME forse?) e finita a Unilever di cui tale Prodi (un omonimo) era consulente fino a poche settimane prima.
Goldman Sachs era coinvolta nella cosa. E anche un suo consulente tale Prodi (un omonimo).

Un PM decide che c'erano abbastanza prove per configurare un conflitto di interessi di Prodi (lui, non gli omonimi) che nel frattempo diventa Primo ministro.
L'ufficio del PM subisce un furto.
L'indagine viene stoppata dai superiori.
Il PM finisce in Sardegna.
Deve essere la mia memoria che fa le bizze anche questo mi ricorda qualcosa.
Visco e Unipol? Boh.
Oggi va così.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mr. Britannia alla Banca d'Italia

EIR, 5 gennaio 2006 – Con la nomina di Mario Draghi a successore di Antonio Fazio si apre una nuova fase nella colonizzazione finanziaria ed economica dell'Italia. Grazie all'Executive Intelligence Review, Draghi è noto come "Mr. Britannia", nomignolo che gli deriva dall'aver partecipato, quando era direttore generale del Tesoro, alla riunione semi-cospirativa con i banchieri della City sul panfilo della Regina Elisabetta, il 2 giugno 1992. A quella riunione si discusse come "finanziarizzare" il sistema economico italiano, cioè trasformarlo in un sistema in cui la finanza avrebbe preso il sopravvento sull'industria e sulla politica, facendo leva sulle privatizzioni. Denunciato dall'EIR in un dossier del 1993, che diede seguito a numerosi articoli di stampa e interrogazioni parlamentari, Draghi ha poi svolto una sotterranea e intensa opera di public relations per sminuire l'importanza della sua partecipazione a quell'incontro, senza riuscire a togliersi il marchio di dosso. Infatti, il giorno della sua nomina tutti i quotidiani e le agenzie italiane, senza eccezione, hanno dovuto riportare che nel passato del neogovernatore c'è la storia poco chiara del Britannia. Persino il sito Libertà&Giustizia, che rappresenta i duri e puri del gruppone debenedettiano (grande vincitore dello scontro politico-finanziario che ha portato alle dimissioni di Fazio), ha dovuto parlare della crociera del Britannia, naturalmente scrivendo che quanto è stato detto al proposito sono solo "sciocchezze".
Resta il fatto, invece, che Draghi tenne un discorso a quella riunione, in cui disse esplicitamente che il principale ostacolo ad una "riforma" del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico. Guarda caso, dopo la crociera sul Britannia partì l'attacco speculativo contro la lira e l'uragano di Mani Pulite che proprio quel sistema politico abbatté.
Negli anni successivi, Draghi fu il regista di tutte le privatizzazioni, che hanno trasformato il panorama economico italiano in modo molto simile a quello pre-1936, con un fitto intreccio tra banche e imprese monopoliste in mano a vecchie e nuove famiglie oligarchiche.
C'é da prevedere che con Draghi in via Nazionale ci sarà il disco verde per una nuova avanzata delle banche internazionali e dei fondi speculativi in Italia, alla caccia di imprese da fagocitare e dei 140 miliardi di risparmio nazionale, oltre che del bottino rappresentato dalla privatizzazione delle pensioni, obiettivo di sempre del potere sinarchista di cui Mr. Britannia rappresenta uno dei più fidati "assets".






C'erano tutti sul panfilo Britannia: da Prodi a Draghi

Dieci anni fa Prodi & C. cominciarono la svendita. Passarono in mani straniere Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini Perufine, Mira Lanza e molte altre aziende. Il 7 gennaio 2003 non era un giorno normale, ricorreva l'anniversario di quello che in molti - ma non moltissimi, in fondo l'Italia è fatta così - ricorderanno come l'anno dei complotti, ovvero il 1993.

Già, esattamente 10 anni fa si diede il via alla svendita delle grandi aziende pubbliche ai gruppi stranieri, si tennero incontri tra i "Boiardi" di Stato e i magnati dell'alta finanza a bordo di un panfilo di Sua Maestà Britannica. Riguardo quell'annus horribilis della sovranità nazionale ed economica italiana, i giornalisti Fabio Andriola e Massimo Arcidiacono hanno scritto un libro, "L'anno dei complotti" pubblicato da Baldini & Castoldi. Accaddero tante cose, in quei 365 giorni in fondo così anonimi, e paradossalmente la riunione sul Britannia rappresentò nulla più che una ciliegina sulla torta. Ne parleremo, ma ora è interessante fare un breve excursus per conoscre i presupposti che resero possibile e determinante quella riunione del 2 giugno 1992 sul panfilo di Sua Maestà la regina Elisabetta d'Inghilterra.
Nel 1992 accaddero alcuni fatti: la crisi della Prima Repubblica e il successivo ciclone Tangentopoli (Kohl lo pagò in ritardo, esattamente dopo il niet all'operazione in Kosovo nel 1999), le privatizzazioni, l'attacco alla lira da parte del pescecane dell'alta finanza - ora riciclatosi come icona no-global - George Soros. Nel settembre '92, soprattutto, l'agenzia di rating Moody's, la stessa che ha declassato la Fiat poche settimane fa, si accanì particolarmente contro l'Italia: un suo declassamento dei Bot italiani diede infatti il via a una spaventosa speculazione sulla nostra moneta che ci portò fuori dallo Sme. Ecco cosa disse l'allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, al riguardo: "Esiste un intreccio di forze e circostanze diverse". Parlò di "quantità di capitali speculativi provenienti sia da operatori finanziari che da gruppi economici", di "potenti interessi che pare si siano mossi allo scopo di spezzare le maglie dello Sme", di "avversari dell'Unione Europea". Craxi lo disse allora, ma oggi non può ripeterlo. Craxi non c'è più. Ci sono in compenso altri personaggi che entrano e che escono come caselle perfettamente inserite di un domino. C'è ad esempio Reginald Bartholomew, figlio naturale del caso del 1993 che nel mese di giugno diventerà ambasciatore americano a Roma. Un anno dopo, siamo nel giugno 1994, con la scorpacciata del Britannia bella e consumata, ecco cosa dirà Bartholomew: "Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera per gli investimenti esteri".
Et voilà, il caso Italia è chiuso.
Bartholomew era amico di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo: quest'ultimo si recò spesso negli Usa in nome della lotta alla mafia. Strano caso, come tutto è strano ciò che nacque e accadde nel 1993, cinque anni dopo Bartholmew diventerà presidente di Merryl Linch Italia. Il quadro è completo, nitido, cristallino. Successe di tutto in quell'anno, capace di trasformare in maniera indolore (fu un tracollo, un disastro senza precedenti ma non si videro carrarmati nelle strade né deportazioni) l'Italia in una sorta di repubblica centrafricana. Punta di diamante dell'intera operazione di svendita fu, quindi, il caso Britannia, riunione che si mostrò perfettamente congruente a quello che accade prima e dopo. Guarda caso, a differenza di Craxi, importanti protagonisti di quella operazione sono ancora in auge al giorno d'oggi. L'allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, per esempio.
L'allora ministro del Tesoro, già governatore di Bankitalia e futuro presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Il presidente dell'Iri, futuro presidente del Consiglio e presidente della commissione Ue, Romano Prodi.
Stando a quanto dichiarato dal giornalista Fabio Andriola, "in quel periodo vi fu una specie di colpo di stato interno alla massoneria italiana, con il Gran Maestro Di Bernardo preoccupato per l'offensiva scatenata dagli incappucciati del Grande Oriente d'Italia capitanati da Armando Corona. La magistratura si spaccò in due tronconi ben distinti ideologicamente. Ricominciarono ad esplodere bombe che solo anime belle possono credere piazzate per eliminare quel fuffarolo di Maurizio Costanzo.
Esplode con tutta la sua virulenza Tangentopoli; e, dulcis in fundo, finisce in prima pagina quel singolare scandalo, con connotati pecorecci, che ebbe come protagonista Lady Golpe, al secolo Donatella Di Rosa (vero che l'avevate dimenticata?), che però andò a mettere nei guai, guarda caso, il comandante di uno dei pochissimi reparti operativi dell'esercito, il generale Monticone".
Accuse precise, come preciso fu per l'ennesima volta il comportamento del direttore generale del Tesoro, Mario Draghi.
Il quale, infatti, scese dal Britannia per evitare di partecipare a quella che sembrava diventare una svendita delle grandi aziende pubbliche italiane alle multinazionali americane e britanniche. Sì, in seguito fu lo stesso Draghi ad ammettere il suo imbarazzo. Guarda caso dopo la merenda sul Britannia le privatizzazioni vennero effettuate a ritmi serratissimi.
Parlando solo del settore agroalimentare, ad esempio, un settore tradizionalmente importante per la nostra economia, furono numerose le ditte che vennero acquistate dagli stranieri: Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza e tante altre. Il meeting venne organizzato da un ben preciso gruppo di potere londinesi: sul Britannia si trasferì infatti in quell'occasione un pezzo della City di Londra. Nulla di strano né di pittoresco, quindi: tanto più che storicamente la Gran Bretagna ha sempre cercato di ostacolare il rafforzamento di qualsiasi Paese europeo. All'epoca i governanti italiani, specie quelli di sinistra, hanno cercato di accreditarsi nel mondo che conta recandosi in pellegrinaggio alla City di Londra come a Wall Street. Assicurando ovviamente la loro disponibilità per non disturbare troppo il manovratore. Il terminale dei politici italiani che dovevano garantirsi sul fronte internazionale è stato, fino a pochissimo tempo fa, proprio la City di Londra: D'Alema docet, Rutelli pure. In effetti, i britannici d'Oltremanica e quelli svezzati d'Oltreoceano non potevano che essere soddisfatti del comportamento tenuto dai loro amici italiani: l'operazione Britannia, infatti, garantì ai soli anglo-americani di accaparrarsi quasi il 50% (precisamente il 48%: 34 agli americani e 14 ai britannici) delle aziende italiane finite in mano straniera.
Questo è stato il 1993, anno in cui l'Italia e la sua classe politica persero l'ultimo brandello di dignità.


Mauro Bottarelli


[articlo pubblicato su Virus il 7 Gennaio 2003]

da: http://www.carmillaonline.com

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
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